#però stanno facendo alice nel paese delle meraviglie
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omarfor-orchestra · 1 year ago
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I need to watch Antigone in puntozeroteatro again
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pangeanews · 6 years ago
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“La famiglia è un incubo da favola – credo nei destini particolari, credo nelle persone fatte una per l’altra”: dialogo con Joyce Carol Oates sul suo ultimo romanzo
Su Joyce Carol Oates c’è poco da dire: classe 1938, un centinaio di libri pubblicati, di ogni sorta, dal romanzo, in cui eccelle, al racconto per bambini, dal teatro alla poesia – ovviamente intradotta in Italia: pubblichiamola! – alla saggistica – mirabile il pamphlet Sulla boxe, per dire. Ha ottenuto tutti i premi del rione americano, quest’anno si è portata a casa il Jerusalem Prize. Soprattutto, la scrittrice di Blonde, del ciclo “Epopea americana” e de I paesaggi perduti (in Italia è tradotta da Mondadori, Bompiani e da il Saggiatore che sta facendo un sontuoso lavoro editoriale dentro la sua opera), ha pubblicato, nell’impero anglofono, un nuovo romanzo, My Life as a Rat. Come sempre, è la ‘situazione’ a essere corrosiva. La protagonista, Violet, è il “ratto” perché denuncia i propri fratelli, ha dodici anni, che hanno ucciso un ragazzo afroamericano. Violet sarà esiliata dalla famiglia, stigmatizzata da ripetute violenze. “Cosa deve prevalere: la lealtà verso la famiglia o verso la verità?” è la domanda che scandisce il romanzo. Aneti Sethi ha fatto una lunga chiacchierata con la scrittrice via Guardian. Ecco alcuni estratti, in attesa della traduzione italiana del libro.
Molti suoi romanzi riflettono intorno al tema della famiglia…
L’idea classica di famiglia sembra ancora dominare le nostre vite e credo che sia difficile, soprattutto per un giovane, liberarsi dall’incantesimo dell’amore familiare – che può essere possessivo e stucchevole come nutriente e vivificante. Ho dedicato il romanzo a una mia cara amica, Elaine Showalter, che è stata rinnegata dalla famiglia perché si è sposata ‘fuori dalla fede’. Tutti siamo legati alle nostre famiglie: è una sorta di incubo favoloso, però, se possiamo essere rinnegati e respinti.
Una delle intenzioni del libro mi pare sia quella di dimostrare l’importanza di lottare contro l’ingiustizia nonostante le conseguenze.
Anni fa, fui molto colpita quando il fratello di Unabomber, per aver collaborato con l’Fbi nell’identificazione del serial-killer, fu accusato da certi ambienti e cinto nell’epiteto di “ratto”, come se la lealtà nei confronti della propria famiglia dovesse essere più importante della salvezza di parecchie vittime. Le leggi civili e morali devono essere più alte del tribalismo familiare, dell’appartenenza a un clan o a un partito politico. La civiltà crolla quando non applichiamo la giustizia unilateralmente. Gli Stati Uniti stanno subendo questa sorta di lento collasso etico sotto l’amministrazione Trump, che dipende unicamente dalla lealtà alla propria politica.
Ricordo un suo saggio, “Why Is Your Writing So Violent?”: una domanda rivolta alla sua scrittura…
Oggi non è più rilevante quel problema, eppure, all’epoca, godeva del consenso generale l’idea che una scrittrice donna dovesse concentrarsi a scrivere di vita domestica, di famiglia, del parto, del matrimonio, dell’armeria romantica, insomma. Molti recensori donna mi hanno ripetutamente rimproverato di aver osato scrivere di argomenti diversi. Un recensore, ricordo, mi disse di concentrarmi sui problemi delle donne e di lasciare il “grande romanzo sociale” a Norman Mailer.
Pur abusata in ogni modo, Violet riesce a sopravvivere. Ha voluto dare spazio alla speranza?
La maggior parte delle persone ha una riserva di energia, resistenza, stoicismo, che non sono state testate nel corso della vita. Credo che una giovane donna come Violet riuscirebbe a sopravvivere alle difficoltà fino a rendersi finalmente indipendente dai familiari bigotti. Riuscirebbe a trovare un uomo degno del suo amore. Credo nei destini particolari – credo nelle persone ‘fatte l’una per l’altra’.
La tua prolificità è leggendaria. Qual è la tua routine per scrivere?
Dalla morte di mio marito, Charlie Gross, il 13 aprile, non scrivo quasi nulla. Appunto delle meditazioni, scrivo dialoghi, ma sono troppo distratta, sono stanca. Quando è morto il mio primo marito, Ray Smith, nel febbraio del 2008, ero esausto e non mi sentii ‘guarita’ – emotivamente, psicologicamente, e fisicamente – prima di due o tre anni. Suppongo che accada la stessa cosa e non posso farci niente. Ho perfino scritto un libro di memorie su questa esperienza – troppo doloroso per esaminarlo ora. Mi ricordo la battuta finale, a cui credo fermamente: il primo e più cruciale compito di una vedova è restare in vita.
Cosa aiuta a tenersi vivi?
Mantenersi vivi dopo la morte del coniuge è una sfida enorme. Il lavoro è necessario, forse è utile il supporto di pochi, intimi, affettuosi amici.
Che lettore era da bambina?
Un lettore grato. Il mio primo libro importante fu Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio – un dono della mia nonna ebrea, avevo nove anni.
Come organizza i suoi libri?
Non li organizzo. Ho un numero sbalorditivo di libri. Ma mio marito Charlie mi ha insegnato a non liberarmi dei libri, mai. Diceva che era un pregiudizio ebraico contro la distruzione o l’abbandono di qualsiasi libro.
In copertina: Joyce Carol Oates fotografata da Dustin Cohen
L'articolo “La famiglia è un incubo da favola – credo nei destini particolari, credo nelle persone fatte una per l’altra”: dialogo con Joyce Carol Oates sul suo ultimo romanzo proviene da Pangea.
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